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Via Urbana (R. I – Monti) (da Piazza della Suburra a via Torino)
Era l'antico "vicus Patricius [1]" una diramazione dell’Argiletum, continuato dal “cluvus Subburranus”, mentre dalla parte opposta era collegato con il "vicus Collis Viminalis". Per questo l’importanza del clivus Patritius che collegava i quartieri alti dell’Urbe (Esquilino) con il Foro e il Palatino.
"Avendo il sommo pontefice Urbano VIII (Maffeo Barberini - 1623-1644) con sovrana disposizione fatta riaprire e migliorare al pubblico beneficio la suddetta strada [2] acciocché non ne perisse la memoria, le fu dato il nome di Urbana" (Stefano Piale)
"Patritium a Patribus Vicum dixere Quirites , Urbanum Urbano a Principe Roma Vocat” (Flaminio Filliucci - 1566-1622). (I Quiriti mi dissero Vico Patrizio dal nome dei Padri, Roma mi chiama Vico urbano dal sommo Urbano).
Secondo una tradizione, l'Apostolo Pietro, alla sua venuta a Roma [3], in Trastevere, venne ospitato, come gli altri ebrei della sua nazione, ma poi avendo convertito il senatore Pudente, questi lo condusse nella sua casa al "vicus Patricius".
È la chiesa di Santa Pudenziana, quasi di fronte al vicolo Ruinaglia, che è indicata per la casa di Pudente.
Secondo Giambattista De Rossi (1822-94): "L'antica fama, le narrazioni divulgate sotto i nomi di Pastore e di Timoteo, le lettere di Pio I (140-55) a Giusto di Vienna, il Liber Pontificalis ci hanno tramandato che l'odierna chiesa di Santa Pudenziana fu la casa di Pudente battezzato dagli apostoli e nominato nelle epistole di S. Paolo; che in quella casa furono celebrate frequenti adunanze dei primi cristiani, e che Pudenziana, Prassede e Timoteo, figlioli di Pudente, fecero quivi dedicare dal papa Pio I un fonte battesimale e costituire in titolo romano le attigue terme di Novato".
Da un epitaffio sepolcrale del 384, che porta i nomi della coppia consolare Ricomere e Clearco si rileva l'esistenza di un Leopardo "lector de Pudentiana".
Ciò che deve intendersi come originale: "titolus sancti Pudentis" e di conseguenza "ecclesia Pudentiana". Lo confermano anche le parole "Dominus Conservator Ecclesiae Pudentianae" che si trovano nell'antichissimo musaico della Basilica (398).
L'opera del papa Pio I (140-155) fu, sotto Siricio (384-399), ingrandita ed ornata dai presbiteri Ilicio, Leopardo e Massimo [4]. Sembra anzi, che essi rifacessero dalle fondamenta, l’intera basilica ed ornassero l’abside "pulchriori musivo quod sit in urbe". Lavori tutti che ebbero compimento sotto Innocenzo I (401-417), come risulta da un’epigrafe vista dal Panvinio (XVI sec.).
Restaurata e riconsacrata dal papa Gregorio VII (Ildebrando di Soana - 1073-1085) fu rinnovata ancora da Innocenzo III (Lotario dei conti di Segni - 1198-1216) e nuovamente, sotto Sisto V (Felice Peretti - 1585-1590), dal cardinale Enrico Caetani (1550-1599) circa il 1588.
Fu allora che fu tagliata la conca dell’abside e dei dodici apostoli, che insieme al Salvatore vi figuravano, ne rimasero dieci.
Da una lapide che elenca le reliquie poste nella Chiesa dal detto cardinale (Enrico Caetani) si è dedotto che il presbitero Ilicio erigesse qui nel vico Patrizio una serie di edifici, quali appaiono nel grande musaico dell'abside, con un lungo tetto sostenuto da costruzioni arcuate che congiungono la basilica Pudenzia alla chiesetta di Sant'Ippolito.
Gli scavi eseguiti sotto la chiesa nel 1934 hanno dato questi risultati: "Una domus" a due piani cui fu addossato più tardi un edificio termale (il primo piano della casa e delle terme è sotto il livello della Basilica). In questa domus, alcuni mattoni recano il bollo delle fornaci di Pudente. La casa è della metà circa del II secolo e ne ha invasa un’altra del I secolo, di cui restano un muro ad “opus reticulatum" e tratti di pavimentazione musiva. L'edificio termale [5] (che nell'aula del ninfeo ha ospitato la basilica) può ritenersi dell’avanzato II secolo. Esso doveva essere molto esteso perché si crede che ne facessero parte le strutture sulla via Balbo entro cui sono adattamenti di oratorio medievale. Dovevano far parte dello stesso complesso, pure, un "calidarium" circolare (C. Ceccarelli) ed altri resti distrutti quando si costruì, pochi anni addietro, l'adiacente casa sulla medesima via Balbo.
La basilica di Pudenziana era dunque al livello del vicus Patricius. Oggi dalla strada si scendono 22 scalini e sotto la chiesa, ad altri sette metri di profondità, giace il piano della strada più antica.
La chiesetta di Sant'Ippolito, (distrutta, era molto vicina a quella di San Lorenzo in Fonte - Armellini) congiunta, come sopra detto, a Santa Pudenziana in questa strada, risaliva al IV secolo e la tradizione vuole che qui vi fosse la casa di quell’Ippolito, che, secondo gli atti di S. Lorenzo, ebbe in custodia il martire che lo convertì e lo battezzò.
Vicino a questa "Memoria sancti martyris [6] S. Ippolyti" sta "S. Lorenzo in Fonte" [7], piccola chiesa riedificata dalla congregazione dei cortigiani sotto Urbano VIII (1623-1644). Nel XIII secolo, vi fu annesso un monastero di Benedettini, sostituiti da monache, dal XIV al XV secolo, le quali nel 1518 si unirono a quelle di Santa Agnese. Da quel momento il monastero, fu incorporato a quello di San Pietro in Vincoli, dove, in quel momento officiavano i frati di Sant'Ambrogio ad Nemus [8].
Altre chiese già esistenti nella strada e diventate poi civili abitazioni, furono l'oratorio del beato Niccolò Albergati nella casa di Giovanni Trevisan detto Volpato, presso Santa Pudenziana, l'amico del Canova (1751-1822), sepolto nella chiesa dei SS XII Apostoli. La casa, che era appartenuta al beato, fu poi ridotta al noviziato dai Cistercensi ed acquistata dal Volpato (mancato suocero del Canova) quando tornò ad essere abitazione di privati.
Santa Eufemia, altra chiesa di questa strada [9], nominata fin dai tempi di Leone III (795-816) insieme a quella che le stava vicino, detta di Sant'Arcangelo Feruntesta [10]. Anzi è detto che questo Pontefice donò al monastero, posto fra le due chiese, "canistrum ex argento" nonché "vestem de stauraci". Di Sant'Arcangelo, ancora nel XVII secolo ne apparivano gli avanzi.
Scomparso è pure l'oratorio di Santa Petronilla, quella che fu detta "filia S. Petri".
Ma la figliolanza di Petronilla deve certo intendersi per spirituale, giacché il suo prenome Aurelia la indica come appartenente alla "Gens Aurelia" apparentata con quella dei Flavi. Infatti Petronilla deriva da "Petro" usato dai Flavi, come Titus F. Petro, avo dell'imperatore T. F. Vespasiano (69-79). Conferma l’idea della figliolanza spirituale di Petronilla [nonostante Tertulliano (160-245) e Gerolamo (331-420) parlino della moglie di S. Pietro] il fatto che Petronilla fu sepolta nel cimitero di Domitilla, sulla via Ardeatina. Nel cimitero, appartenente a Flavia Domitilla, è stata ritrovata una lapide che conferma l’idea dell'appartenenza di Petronilla ai Flavi. La lapide dice: "Flaviae. Domitillae. Divi Vespasiani Neptis Eius. Beneficio. Hoc. Sepulcrum. Meis. Libertis. Libertabus. Posuit”.
Dal sepolcro "Aureliae. Petronillae. Filiae. Dulcissimae”, il corpo della santa fu trasportato da Paolo I (757-767) [11] nella basilica di San Pietro e posto nel mausoleo imperiale [12] di Onorio (395-423) e Teodosio II (423-425), chiamato, da allora, Cappella di Santa Petronilla [13], dove Carlo Magno [14] (774-814) fece battezzare Carlomanno [15] da Alessandro I (772-795).
Tornando a via Urbana, quasi dirimpetto a Santa Pudenziana, è la chiesa ed il convento del Bambin Gesù. La chiesa fu edificata sotto Clemente XII (1700-1721) e consacrata poi il 9 settembre 1736. Il convento, invece, origina da un convitto di zitelle istituito nel 1662.
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[1] Servio Tullio (578-534 a.C.) collocò qui i Patrizi romani, perché se avessero cospirato contro di lui, avrebbero potuto essere colpiti agevolmente da località più alte. Segnava il confine fra la IV e VI regione ed aveva, lungo il suo percorso: le terme Olimpiadi, le terme di Novato e di Timoteo (fra S. Pudenziana e S. Prassede). Nei pressi il "lucus Mefitis" (Mefite è una divinità italica legata alle acque, invocata per la fertilità dei campi e per la fecondità femminile). Fra i Patrizi vi fu la "domus" dei Neratii Cerealis.
[2] ) Scomparve allora un tempietto di Luperco che era, salendo, a destra della via Panisperna sul quadrivio della via Urbana. Il tempietto di Luperco fu scoperto nel 1613 ed era una basilichetta che nella forma copiava le basiliche cristiane. C'era un presbiterio con arco trionfale, l’altare sopraelevato su tre o quattro gradini e l’immagine della Lupa con i Gemelli in mosaico sulla parete di fondo. L'arco aveva fregi musivi sulla fronte e figure di Luperci con le ferule nell'intradosso. Risaliva all'epoca di Giuliano l'Apostata (360-3).
[3] ) Venuta dei cristiani a Roma, vedi Tacito XV, 44.
[4] ) Riunirono poi la Chiesa con quella di S. Lorenzo in Fonte per mezzo di un lungo portico, che ebbe nome da Ilicio e Timoteo che deve essere stato danneggiato da Alarico (410) se poco dopo, un "ex primicerius notariorum Sacri Palatii” lo ricostruì dalle fondamenta. Un'epigrafe, rinvenuta nel 1850, dice: "omnia quae videntur – a memoria Sancti Martyris Yppoliti usque huc – surgere tecta Ilicius – Presb. sumptu proprio fecit”.
[5] ) L’edificio termane fu chiamato col nome di Terme Novatianae o Timothianae. Queste, demolite in buona parte sulla metà del secolo XVI, sono tornate in luce nel recente taglio della via Balbo. Sotto la chiesa di Santa Pudenziana, recenti esplorazioni hanno rivelato, a notevole profondità dal livello stradale odierno, tracce di antichissime murature a blocchi di tufo, e ad "opus incertum", nonché resti di pavimentazione musiva policroma (lithostroton) che devono aver appartenuto ad una ricca dimora di età repubblicana. Questa abitazione, il cui ingresso si apriva sul "vicus Patricius" (via Urbana) alla sinistra di chi lo percorreva venendo dalla "Suburra", subì restauri ed ampliamenti durante il I ed al principio del II secolo, come è rivelato da murature in "opus reticulatum". Ma una trasformazione completa vi fu operata alla metà circa del II secolo, quando vi furono costruiti vasti ambienti di uso termale i cui muri hanno mattoni datati in gran parte tra gli anni 127 e 133 d.C. La maggior parte di essi recano il nome del proprietario delle "figlinae" (stabilimenti di produzione) di provenienza: "ex pr(aedis) Q. Servili Pudentis". ("Pudens" cognome che ebbero due sole gentes consolari: "l'Aemilia e la Servilia"). Queste terme, di proprietà privata, forse aperte al pubblico a pagamento, sono identificabili con quelle chiamate "Novatianae o Timothinae", edificate nella proprietà avita da Novato e da Timoteo, figli di un Pudente. Il loro uso durò fino al IV secolo, quando furono trasformate, in parte, in chiesa cristiana. L'abside appartiene infatti alla grande sala termale trasformata in tempio, e ad un edificio a più piani (forse l'abitazione dei proprietari delle terme) e ad altre costruzioni, le murature in laterizio, trovate dietro l'abside e che invadono la via Balbo. Fu in queste terme che S. Giustino Samaritano insegnava (seconda metà del II sec.) liberamente la religione cristiana, "apud titulum Pudentis", come pure Sant’Ippolito, che insegnò nel "vicus Patricius" anche lui, è possibile siano stati in relazione con i discendenti di quel Pudens mensionato da San Paolo nella "epistola II ad Timotheum", come uno dei primi seguaci della nuova fede. Dal vicus traevano anche il nome un tempietto “Isis Patricia” del quale ci è ignota l'ubicazione, e così per un “sacello di Diana” in cui, per motivi liturgici, gli uomini non potevano entrare.
[6] ) Vago ricordo del martirio del Santo, è la chiesetta di Sant’Ippolito all’Isola Sacra (Libanus Almae Veneris o Insula Sacra). Un’altra chiesetta dedicata al martire prossima a S. Vincenzo e Anastasio, vicinissima al collegio dei Maroniti fu detta dei Santi Ippolito e Cassiano o S. Ippolito de Urbe.
[7] ) Durante i lavori della metropolitana, è stato anche scoperto, l'accesso alla cripta di San Lorenzo in Fonte (via Urbana), con un laghetto artificiale che continua ad essere alimentato da una sorgente. E da qui, che una leggenda dice aver San Lorenzo battezzato dei neofiti, fra i quali il suo carceriere Ippolito. Nella chiesetta, sopra la porta, dal lato destro dell'altare, è scritto: "Aditus ad carcerem et fontem B. Laurenti mart.”.
[8] ) L'Ordine sorse verso la metà del XIV secolo ad opera di tre ricchi nobili milanesi: Alberto Besozzo, Alessandro Crivelli e Antonio Pietrasanta. Animati da spirito di penitenza, i tre si ritirarono in una spelonca nel bosco (in latino nemus) nei pressi di Milano dove, secondo la tradizione, si era nascosto sant'Ambrogio per sottrarsi all'elezione a vescovo.
[9] ) Nella pianta del Bufalini (XVI sec.) è disegnata circa dove adesso sorge il monastero del Bambin Gesù e nella tassa di Pio IV (1559-66) è segnata fra i monasteri del rione Monti. Monastero diventato celebre nel XIV secolo dopo che fu distrutto l’antico, ricordato dal biografo di Leone III (795-816). Nel mosaico dell’abside, riprodotto da un anonimo artista del XVII sec., la santa è rappresentata, riccamente vestita, orante fra due serpenti.
[10] ) Dall’atteggiamento dell’Arcangelo, che ferisce con la lancia la sottoposta testa di Satana.
[11] ) Vi fu trasportata da Paolo I (757-767) che mantenne la promessa fatta da Stefano III (752-757) al re Pipino (714-768). Nel 1474, nei restauri fatti alla cappella da Ludovico XI, venne in luce il sarcofago della Santa sul quale era scritto: “Aur. Petronillae Fil. Dulcissimae”. Nella “cappella Regum Fraciae” vi fu posta la Pietà di Michelangelo, alla fine del XV secolo.
[12] ) Accanto alla basilica costantiniana di San Pietro, esistevano numerosi altri edifici tra cui un campanile medievale e due edifici a pianta circolare, antichi mausolei romani, usati forse come martyrion. Uno di essi, noto come cappella di Santa Petronilla, era il mausoleo imperiale onoriano, in cui furono sepolti l'imperatore romano Onorio con le mogli Maria e Termanzia, oltre a, probabilmente, sua sorella Galla Placidia col figlio primogenito Teodosio.
[13] ) I re franchi si interessarono della cappella di Santa Petronilla, cui fu dato pure il nome di "cella et cappella regum francorum". Tutto il lato meridionale dell’area, adiacente alla Basilica Vaticana, fu denominata "area regis christianissimi”, appunto perché contigua a detta cappella. Quando Carlo VIII (1483-98) venne a Roma, si recò nella Cappella per impetrare alla Santa, secondo la tradizione della casa reale francese, la guarigione dei Romani, affetti da scrofola (infezione ai linfonodi). Dice un cronista: "...in un luogo detto Cappella di Francia, là ove egli toccò e guarì gli scrofolosi con somma meraviglia di quegli italiani, che si trovarono presenti a quel fatto misterioso". Era la cura regia della scrofola, che si credeva potesse venire guarita dal re di Francia mediante l'imposizione delle mani. L'usanza, che risale all'inizio del medioevo (V sec.), si protrasse nei secoli, e fu praticata perfino nel 1824 all’atto dell'incoronazione di Charles X di Francia (1824-30), che "toccò" 121 malati. Il giuspatronato, concesso da Innocenzo VIII, nel 1490, ai reali di Francia, lentamente si estinse, ma fu ripristinato da Clemente VIII nel 1601. Giansenismo, Rivoluzione e Impero lo fecero decadere nuovamente, finché, ai 31 di maggio del 1949 fu fatto rivivere da Pio XII.
[14] ) Distici fatti porre da Carlo Magno, scolpiti su pietra nera di Tours, sulla tomba di Adriano I (772-795) attualmente nel portico di San Pietro, sul frontone tra le porte , insieme ad altre due, quella che ricorda il primo giubileo 1300 (Bonifacio VIII 1294-1303) e l'altra che passa in rivista gli uliveti donati da Gregorio II (dei Savelli) (715-731) alla basilica, perché non dovesse mancare l'olio alle lampade che ardono sulla tomba di San Pietro: "Qui riposa il padre della Chiesa, l'onor di Roma, l'illustre scrittore, il beato Pontefice Adriano”. “Dio fu la sua vita, sua legge la pietà, sua gloria Cristo; fu pastore apostolico, pronto a fare tutto ciò che è bene. Fu Nobile per discendenza di antica e grande stirpe, ma di gran lunga più nobile per le sue alte virtù. Con animo devoto, desiderando il buon pastore di adornare sempre ed in ogni luogo i templi consacrati al suo Dio, arricchì le chiese di doni e i popoli di santi precetti e a tutti aperse la via che conduce al cielo. Onore della città e del mondo, egli con le sue dottrine, con i suoi tesori, con i suoi edifici, aveva sollevato le tue torri, o inclita Roma. A lui nulla nocque la morte, già vinta ed uccisa dalla morte di Cristo, anzi gli schiuse la porta di una vita migliore. Questi versi scrissi io Carlo, lagrimando per la morte del padre; tu fosti il mio dolce amore, che ora piango o padre. Ricordati di me: il mio pensiero ti seguirà sempre; tu goditi con Cristo il regno del cielo. Il cielo e il popolo ti amarono con grande affetto, tu eri l'amore di tutti, o ottimo pastore.” “Voglio, o illustre uomo, che i nostri nomi e i nostri titoli siano qui congiunti: Adriano e Carlo, io re, tuo padre. Chiunque tu sia che le leggi questi versi, dì con cuore devoto questa preghiera: o Dio misericordioso abbi pietà di ambedue. Qui intanto riposino le tue membra, o mio dilettissimo amico, l'anima sua beata goda con i Santi di Dio. Fintantoché lo squillo dell'ultima tromba suoni alle tue orecchie. Allora risorgerai insieme con Pietro, Principe degli Apostoli per vedere Iddio. Tu udrai, ne sono certo, la voce del Gran Giudice che ti dirà: vieni a godere la gioia del tuo Signore. Allora o mio buon padre, ricordati, te ne prego, del tuo figliolo e dì: venga insieme col padre anche questo mio figliolo. Va o beato padre ai regni celesti di Cristo, e di là soccorri il tuo gregge con le tue preghiere. La tua gloria o padre santo, durerà nel mondo, fintantoché il sole risplenderà nel cielo. Adriano papa di santa memoria, regnò 23 anni, 10 mesi, 17 giorni, morì il settimo giorno innanzi alle calende di gennaio". Il sepolcro sul quale fu posta, era nell'atrio dell'antica basilica costantiniana. Distrutto ancor prima del grande rifacimento, le ossa di Adriano furono inumate presso l'altare di San Leone.
[15] ) Terzo figlio di Carlo Magno (Pipino).
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